domenica 9 dicembre 2012

GOA

Gli indiani la spacciano per un posto da sogno -inteso nel senso involontariamente ridicolo del linguaggio di Briatore- e, per certi versi, Goa lo è. Nel senso che, è un luogo dove si rischia di perdere la cognizione della realtà, un luogo surreale dove la dimensione onirica regna sovrana. Per spiegare concretamente e precisamente la mia percezione, potrei dire che se fosse un quadro l'avrebbe disegnato Salvador Dalì e che se fosse un film lo avrebbe scritto e diretto Luis Bunuel. Non ci sono dubbi. Insomma, sembra l'isola che non c'è.


Oltre alle evidenti stranezze, che si possono apprezzare da alcune foto, effettivamente, Goa è un posto eccezionale per la sua storia passata e recente. Infatti, è stata una colonia portoghese per circa 450 anni a partire dal '500, quindi uno tra più antichi e longevi domini coloniali della storia. Fino al 1961, anno in cui fu sottratta coattivamente alla dittatura portoghese di Salzar dal governo Nehru, il primo dell' India indipendente. Inoltre, pur essendo il più piccolo stato indiano, risulta essere il più ricco, con un reddito pro-capite di circa due volte e mezzo quello medio indiano, nonché lo stato con le migliori infrastrutture e la qualità di vita più alta. Insomma, l'anticamera indiana del paradiso, viste le infernali città indiane.


L'accoglienza è stata calorosa fin da subito, non c'è che dire. All'inizio ci avrebbe dovuto ricevere una delegazione governativa che poi,  improvvisamente, ha dovuto deviare il suo percorso per risolvere l'annoso problema dei cocchi secchi lungo la costa settentrionale, fondamentali per la preparazione dei cocktail che contribuiscono per il 50% alla formazione del Pil. Prontamente, però, è stata sostituita da una flotta di tassisti indemoniati -tutti quelli con la maglia bianca nella foto al lato, tranne il ragazzo di spalle- che ci ha introdotto al primo leitmotiv del nostro soggiorno: Taxi! Taxi! Brum brum! Non so, forse sembravamo indigeni ai loro occhi, da queste parti tutto è possibile.
Il secondo leitmotiv, invece, è stato: My friend! How are you, my friend! Non ho mai avuto tanti amici -e così premurosi- in vita mia quanti ne ho trovati a Goa in qualche giorno. Ovviamente, tutto era finalizzato alla vendita di oggetti di dubbio gusto e valore che, con indubbia maestria e indomita caparbietà, chiunque cercava di rifilarti ad ogni angolo.

L'unico modo per difendersi consiste nel cercare di vendere qualcosa a loro e, in questo
caso, ho sperimentato la forza della cultura!
Quindi, offrendo il mio libro di storia indiana da 700 e passa pagine, per giunta in italiano, ho risolto le mie noie e potuto girare, forte e sicuro, tra strade semi sterrate, ricoperte di pesce steso ad affumicare -si può immaginare l'irresistibile profumo profondersi nell'aire- e spiagge popolate di vacche, buoi e animali di ogni tipo. Un vero toccasana che ha fatto impennare la qualità del mio soggiorno.







A parte i singoli episodi, l'esperienza è risultata molto curiosa, soprattutto a causa della frequenza con cui situazioni e immagini inusuali si susseguivano ai miei occhi, assuefacendomi. Col passare del tempo, quella valanga di stranezze costituiva la normalità. Forse non proprio tutte, vedi il rasta man nell'immagine al lato, di cui ho scelto di non mostrare il retro per solidale supplenza di pudore. In ogni caso, a Goa è possibile vedere cose rare anche per gli indiani. E' possibile, innanzitutto, incontrare indiani ubriachi: spettacolo tragicomico!


Ti abbracciano come se fossero dei familiari che non vedi da anni ma che non ti hanno mai dimenticato -una carrambata-, ti versano addosso qualunque cosa gli capiti fra le mani, ti fanno le domande più bizzarre, intime o senza senso e farfugliano cose strane, talvolta incomprensibili. La cosa più normale che ho sentito urlare, senza ragione apparente o connessione con quello di cui si parlava, è stata: "l'India è il paese più bello del mondo!". E' stato un momento difficile ma considerando la giovinezza del nuovo paese  -l'indipendenza è stata ottenuta nel 1947- e il tortuoso processo di democratizzazione, un pò di sano patriottismo, anche se inopportuno, si doveva tollerare senza polemiche. Detto questo, a Goa si possono anche vedere lotte all'ultimo lancio di souvenir tra venditori ambulanti, in mezzo all'indifferenza apparente dei turisti assopiti, che aspettano intrepidi l'arrivo di quei colpi bassi che non arriveranno mai o saranno farlocchi, un po' come un incontro di Wrestling.

Oppure, si possono trovare sportelli bancomat ogni dieci metri ma non puoi neanche sperare di vedere mai un ufficio postale. O ancora, è possibile confondere il richiamo di un qualunque venditore con quello di uno spacciatore, che con tutta nonchalance, al posto di "cocco bello, cocco mio", lungo la spiaggia declama il suo campionario di droghe: "hashis, marijuana, mdma, lsd..." e tante altre lettere a casaccio che veniva da chiedergli se dicesse sul serio. In realtà, più che altro, avrei voluto chiedergli dei francobolli, visto che non trovavo il benedetto ufficio postale. Comunque, c'è poco da stupirsi se poi in un bar della capitale ti capita di incontrare delle hippy, sessantenni e made in Italy, che si lamentano dei troppi anziani e della deludente movida del sud e ti chiedono consigli per qualche luogo eccitante -cade a pennello- al nord. 
Insomma, un luogo strambo e impossibile da definire...a meno che non ci si rifaccia alla cultura popolare barese: 
A: "Wagliò! Mè! ti sei andato a divertire?"
B: "Emmè, che dici tu?!
A: "Me, me. Allora, com'è...Gora, Goba?     Vabbè, quel posto dove sei andato, insomma."
B: "Mò! Il pesce fresco è troppo buono! Però non c'hanno la Peroni!"

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