domenica 25 novembre 2012

BRAVEHEART, TRE RUOTE IMPAVIDO


Se fossi indiano, spezierei il mondo;
Se fossi afgano, lo oppierei;
Se fossi saudita, lo comprerei;
Se fossi...scusatemi, non ho resistito al richiamo del sonetto giocoso di Cecco Angiolieri in versione asiatica. Mi ricompongo.

Se fossi indiano, sulla bandiera dell'India ci vorrei l'auto rickshaw! Forse esagero e, se lo sapesse qualche indiano, non mi degnerebbero più nemmeno di un rutto. In ogni caso, il rickshaw è l'emblema dell'India moderna. E' onnipresente! Basti pensare che ce ne sono almeno 16 al servizio dei mille abitanti più sperduti del subcontinente; ossia ce ne sono più di 16 milioni in giro per l'India! Una fanteria "invidiabile" che, quando non la vedi, la senti da centinaia di metri grazie al suono stridulo dell'insostituibile clacson, strombazzato inutilmente e testardamente...è il leitmotif dell'India che inquina. In pratica, avete presente un coro di voci bianche? Ecco, si ottiene esattamente la sensazione opposta con il coro dei rickshaw.

E' il leone di quella giungla composta dalle malridotte e iperaffollate strade indiane, che s'insinua fra autobus, camion, suv e auto di ogni genere con una disinvoltura paurosa e sprezzante di qualsiasi pericolo. Per questo motivo l'ho ribattezzato "Braveheart". Braveheart fa a sportellate con i suoi pari, con le moto e con le auto e ha la precedenza per diritto naturale...nel senso che se non gliela danno, è naturale che se la prenda; a tutti i costi, anche fosse la vita dei suoi passeggeri.


Secondo alcuni saggi, morire sul rickshaw da passeggero assicura la vita futura. Infatti, il Dio del coraggio (ce ne sarà sicuramente uno che in tanti adorano da qualche parte) impietosito dalla morte da pirla sul campo di battaglia, provvederà alla reincarnazione da conducente di rickshaw con annessa vita da marciapiede. Per inciso, in India i marciapiedi sono tutti abitabili. Sono le case popolari dell'India ed hanno un tratto comune con le nostre: non ce ne sono per tutti. Infatti, poi ci si arrangia sotto i ponti o allestendo capanne per nani ai bordi delle strade.


Nella foto al lato, siamo difronte ad un raro esemplare di auto rickshaw coupè full optional: in pochi dispongono del portapacchi. I posti a sedere dovrebbero essere tre, conducente a parte. In realtà, mai nessuno è riuscito ad individuare il limite e, finché si cammina, tutto è concesso. La cosa più curiosa è che il tre ruote impavido, apparentemente fragile, è letteralmente indistruttibile! Infatti, durante ogni spostamento, si perde il conto delle buche ripetutamente e bruscamente investite senza che si rompa mai niente! 


Ogni volta me ne stupisco e, spesso, mi ritrovo a sorridere associandovi una sventura capitata al mio "sveglio" referente indiano, mentre tornavamo con la sua macchina da un meeting fuori città. Lo stralunato D., che alla tipica flemma indiana coniuga la disattenzione tipica dell'utilizzatore cronico di oppiacei, dopo aver beccato in pieno una buca, ha perso malamente la marmitta. Gli sono serviti diversi metri per rendersene conto e accostare, nonché diversi secondi, dopo essersi fermato, per accennare una reazione: un sobrio e pacatissimo "merda!", considerate le circostanze, mentre fissava imperterrito il tergicristallo in attesa di non si sa che. I più maligni sostengono fosse in attesa di riprendersi dalla "botta"...infatti, appena lasciato il luogo in cui si era tenuto il meeting, il nostro infausto eroe aveva già colpito una colonna di cemento, lasciando -si fa per dire- in retromarcia il parcheggio. Come si dice: un uomo, una garanzia!  Ah, se solo avesse realizzato il suo sogno da bambino di diventare conducente di rickshaw, tutto questo non sarebbe, certamente, mai accaduto.

N.B.: Andrea, il mio irreprensibile compagno d'avventura, dopo l'episodio della marmitta suggeriva (ingenuamente o beffardamente?) al nostro stuntman di fare denuncia al comune di Chennai, per il rimborso dei danni.  In India? La denuncia al comune...ahahahahahahahahahahah Non sapevo più dove nascondermi per ridere mentre mi sorprendevo ad ascoltare una risposta lievemente seccata del nostro "Baba Alonso" detto Babbo: "Andrea, non siamo in Italia."



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